L'ESTETICA DELLA MACCHINA

"Avevamo vegliato tutta la notte, i miei amici ed io, sotto lampade di moschea dalle cupole di ottone traforato, stellate come le nostre anime, perché come queste irradiate dal chiuso fulgore di un cuore elettrico."

Con queste parole ha inizio il Manifesto del Futurismo, pubblicato in francese sul quotidiano parigino Le Figaro il 20 febbraio 1909 da Filippo Tommaso Marinetti, poeta e scrittore italiano di formazione francesesempre proiettato verso la ricerca di modernità del linguaggio e della forma poetica, in favore del verso libero. Nel Manifesto, Marinetti formula il suo programma di rivolta contro la cultura del passato ("Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche,le accademie d'ogni specie") e espone i principi ispiratori del movimento, che ambivano all'edificazione di una cultura integralmente rinnovata.


http://www.cn24tv.it/news/134172/futurismo-un-incontro-nel-centenario-della-morte-di-sant-elia.html

I valori su cui intende fondarsi la visione del mondo futurista sono quelli della velocità, del dinamismo, dello sfrenato attivismo,considerati come distintivi della moderna realtà industriale, che ha il suo emblema nel mito della macchina. Il culto dell'azione respinge ogni forma di organizzazione politico-sindacale (il socialismo, il femminismo, ecc...) nel nome di un individualismo assoluto. 

Il programma futurista, allargatosi fino ad abbracciare i più disparati aspetti dell'arte e del costume sociale, finì per presentarsi come un progetto di rifondazione totale, attribuendo particolare importanza agli aspetti pratici.
All'ammirazione delle opere antiche viene sostituita un' "estetica della velocità" che, celebrando la bellezza della macchina, si propone di interpretare i segni della modernità. È questo l'aspetto più interessante della proposta marinettiana che auspica una suggestiva rappresentazione della città e del mondo industriale, con "le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa", "le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne", "il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri". 
Il movimento, la velocità e la macchina costituiscono una triade tematica fondamentale, dalla quale derivano problemi attuali quali quelli del rapporto con la tecnologia, di un nuovo senso di progresso, del rapporto tra uomo e città.



https://artecracy.eu/la-citta-futurista-di-antonio-santelia/

Più difficile risultava, per i futuristi, il tentativo di introdurre il movimento in una forma d'arte per definizione statica come la scultura: "Distruggere la nobiltà tutta letteraria e tradizionale del marmo e del bronzo. Negare l'esclusività di una materia per la intera costruzione d'un insieme scultorio. Affermare che anche venti materie diverse possono concorrere in una sola opera allo scopo dell'emozione plastica: vetro, legno, cartone, ferro, cemento, crine, cuoio, stoffa, specchi, luce elettrica, ecc. ecc." Boccioni, autore del Manifesto tecnico della scultura futurista (1912), individua nell'eterogeneità dei materiali la possibilità di conferire dinamismo alla scultura.

Simultaneità, sintesi tra visione ottica e visione mentale, scomposizione ed espansione delle forme nello spazio circostante sono tra i principi che Boccioni tenta di trasferire dalla pittura alla scultura. Un suggestivo esempio di questo sforzo di rinnovamento del linguaggio plastico è dato dalla scultura in bronzo Forme uniche della continuità nello spazio (1913). La continuità dei profili e il loro sinuoso e ininterrotto fluire ampliano la figura ben oltre i suoi stessi limiti volumetrici. La sensazioni che ne deriva è di vorticosa dinamicità e di astrazione. A tal proposito, non è difficile trovare dei parallelismi con alcuni "stili" di architettura contemporanea.



https://www.artwave.it/architettura/progettisti/antonio-santelia-larchitettura-futurista/

Il rapporto con la macchina (e con la tecnologia), intesa come fonte di benessere nonostante periodicamente si levino venti di critica per l'uso che ne facciamo, anche nel Novecento ha fatto da leit-motiv. Non solo perché anche, grazie al design, la macchina ha raggiunto importanti traguardi estetici, ma anche perché per l'estetica contemporanea, la tecnologia deve essere esibita, i suoi impianti devono prendere il posto di tutti quegli orpelli decorativi che nell'Ottocento erano destinati a nasconderla.

In questo Antonio Sant'Elia, la maggior personalità del Futurismo in architettura, diede un contributo rivoluzionario, anche se purtroppo soltanto teorico e progettuale. Nel Manifesto dell'architettura futurista (1914) egli scriveva: 


"L'architettura futurista è l'architettura del calcolo, dell'audacia temeraria e della semplicità; l'architettura del cemento armato, del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti quei surrogati del legno, della pietra e del mattone che permettono di ottenere il massimo della elasticità e della leggerezza. [...] Abbiamo perduto il senso del monumentale, del pesante, dello statico, ed abbiamo arricchita la nostra sensibilità del gusto del leggero, del pratico, dell'effimero e del veloce."

Parole sorprendentemente attuali e "high-tech". Proprio l'architettura high-tech, negli anni Ottanta del '900 professa gli stessi ideali di leggerezza e di estetica, ottenibili soltanto col ricorso ai materiali più moderni e con le più avanzate tecnologie. Se poi esaminiamo uno dei disegni di Sant'Elia, quei grattacieli con gli ascensori e gli impianti tecnologici lasciati visibili, si può tranquillamente affermare che egli sia stato in un certo senso precursore delle correnti architettoniche moderne, basti pensare alla filosofia che sta alla base del Centre Pompidou di Renzo Piano e Richard Rogers. Ma anche alcuni decenni prima, negli anni Cinquanta e Sessanta, l'influenza di Sant'Elia era ancora più evidente nel pensiero dei sostenitori di una civiltà tecnocratica, ne è un esempio il Gruppo Archigram, nato nel 1961 per volere di un gruppo di giovani architetti inglesi che produssero progetti (mai realizzati) di città ed edifici incentrati sulle moderne tecnologie costruttive e comunicative, dal sapore neofuturista. "Da un'architettura così concepita non può nascere nessuna abitudine plastica e lineare, perché i caratteri fondamentali dell'architettura futurista saranno la caducità e la transitorietà. Le case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città."



Il Centre Pompidou a Parigi

Parlando di macchine viene spontaneo pensare all'opera di Le Corbusier, quando affermava "Una casa è una macchina da abitare" (Verso un'architettura, 1920-21). È presente qui anche la tematica dell'aeroplano (cara ai futuristi), visto come un prodotto di alta selezione, applicazione di uno standard.
Problema, quindi soluzione. Essa è insita nel problema,


"oggi quando un problema è posto, trova fatalmente la sua soluzione".

Cosa manca, quindi, alla casa per essere perfetta come un aeroplano? "Il problema della casa non è stato ancora posto". L'aeroplano ha smosso l'inventiva dell'uomo, ha messo insieme immaginazione e razionalità. Lo stesso spirito da cui è nato il Partenone. Quindi, non è un problema di forma, ma di logica, di metodo. L'aeroplano ne è solo un esempio. Dunque, si può affermare che anche Le Corbusier era per molti versi imperniato di questa cultura "futurista".


Le Corbusier - Ricostruzione dell'appartamento E2 de la Cité radieuse di Marsiglia (1947-1952)
presso la Cité de l'Architecture et du Patrimoine di Parigi

Marinetti, come molti altri, sintetizzò il rapporto uomo-macchina, individuando l'identificazione tra movimento umano e movimento della macchina: "Bisogna dunque preparare l'imminente e inevitabile identificazione dell'uomo col motore, facilitando e perfezionando uno scambio incessante e d'intuizione, di ritmo, d'istinto e di disciplina metallica, assolutamente ignorato dalla maggioranza e
soltanto indovinato dagli spiriti più lucidi."
Egli, dunque, ha decisamente anticipato e intuito le tendenze presenti e future, quelle di oggi, in cui l'uomo è un po' più macchina e la macchina sempre più uomo, sempre più dotata di intelligenza.

Come suggerisce Giuseppe O. Longo (Homo technologicus, 2001):


"Tanto è importante la tecnologia, che essa contribuisce a formare le categorie cognitive (e attive) dell’uomo, condizionandone lo sviluppo. La distinzione tra uomo e tecnologia non è netta come talora si pretende, perché la tecnologia concorre a formare l’essenza dell’uomo, e inoltre l’evoluzione della tecnologia è diventata l’evoluzione dell’uomo. Se oggi l’evoluzione biologica è [appare, n.d.a.] ferma, quella culturale è più rapida che mai: ma la separazione tra le due è artificiosa, poiché i due processi si sono ormai intrecciati in un’evoluzione ‘bioculturale’ o ‘biotecnologica’".

Viste le tendenze in atto, quelle dell'epoca di internet e dell'informazione, oserei dire che l'uomo è passato dall'essere macchina all'essere sempre più virtuale e virtualizzato, il che, secondo alcuni studi, ci condurrà alla cosiddetta "era simbiotica", ovvero l'era in cui i computer saranno per noi una seconda
"pelle". La virtualità e la digitalizzazione hanno già da tempo coinvolto il mondo dell'Architettura, non ci resta che vedere, adesso e soprattutto in futuro, fino a che punto si spingerà la dematerializzazione e la virtualizzazione in/di una cosa tanto tangibile e concreta come gli edifici. Un nuovo Fururismo è in atto?

Arch. Alessia Malara

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