NON C’ERA UNA VOLTA IL CAD

CAD, acronimo di Computer-aided Design, ossia progettazione assistita dal calcolatore. Oggi esistono centinaia di software utilizzati per il disegno tecnico, architettonico, meccanico e cosi via, è una cosa normale, comune, oserei dire scontata.




Foto di GraphicMama-team da Pixabay


Ma non fu sempre così.


Ci fu un tempo, non troppo lontano, in cui l’umanità dovette sopravvivere senza la rivoluzione informatica. Tempi duri, persino inimmaginabili per i più giovani. Come narrano alcuni valorosi superstiti, prima del CAD, gli studi di architettura erano una valle di lacrime – a volte era solo sudore, in realtà, o entrambe le cose. La parola "valle", inoltre, non è solo metaforica, è che effettivamente serviva molta superficie. 
Noi freschi giovincelli abbiamo solo una vaga idea di ciò che deve essere stato per i progettisti quel campo di battaglia che, per comodità, chiameremo “tavolo da disegno”. Giornate, nottate, giovinezza, vite, gioie e dolori si sono consumati sopra (e sotto) il tavolo da disegno.



Foto di Gordon Johnson da Pixabay


Di seguito il racconto/intervista che ho raccolto dalla voce di un veterano che, fra la nostalgia e la consapevolezza di chi "solo lui sa cosa ha passato", mi ha raccontato il delirio di quegli anni (più qualche trucco del mestiere), sorprendendosi lui stesso di essere sopravvissuto a tutto ciò. Per  rendere il racconto immersivo come un paio di HoloLens, userò i verbi al presente, così da trasmettere un minimo di coinvolgimento nei cuori (e nella pelle) degli ignari, fortunati, giovani.


Disegnare a mano

Per prima cosa, è bene sapere che si deve disegnare TUTTO a matita e finire il progetto almeno venti giorni prima, perché non esiste proprio che mandi tutto in stampa la sera prima della consegna. Se la tua maggiore preoccupazione è il plotter in panne, allora non hai mai provato il terrore di sbagliare quando avevi interi progetti da ridisegnare a china prima della scadenza. E qui ha inizio l’avventura.


Lo scotch

Innanzitutto, bisogna fissare bene i fogli sul tavolo da disegno con il nastro adesivo adeguato, per fare in modo che i lucidi non si strappino a causa del nastro sbagliato (per intenderci, quello marrone da imballaggio non va bene), oppure a causa del tecnigrafo che verrà poi fatto danzare sul foglio come un burattino e che potrebbe accidentalmente strappare tutto quel minuzioso lavoro da amanuense che avete fatto.

In trincea

Una volta calibrato anche il tecnigrafo con l’angolo perfettamente a 90°, si è finalmente pronti a costruire attorno al tavolo da disegno una trincea degna della Prima Guerra Mondiale, perché da quel momento in poi NESSUNO può avvicinarsi in ALCUN modo e per NESSUNA ragione al tavolo e ai fogli. Nessuno. Né la mamma, né il fidanzato, né il cane, né il Papa. Non si può certo rischiare che qualcuno rovesci qualcosa, o lasci impronte, o respiri la stessa aria. Pensavate che l’Uomo Vitruviano di Leonardo fosse il disegno più delicato del mondo? Beh, vi sbagliate.


Finalmente eccoci pronti a disegnare. Mettiamo su un po’ di musica, il caffè è pronto e a debita distanza (ma raggiungibile con una serie di cannucce telescopiche), i pennini sono in posizione...

I pennini. Che Brunelleschi ci assista!

Pennini
La ricarica del pennino è un’incognita. Bisogna uscire dalla trincea, LONTANO dal tavolo da disegno, tirare la cartuccia e sentire un suono, come un “PLOP”, poi ricaricare le tanichette, LONTANO dal tavolo da disegno (nel caso non fosse chiaro), perché maneggiare i pennini è come maneggiare tritolo: una volta infilata la cartuccia, c’è il rischio che esploda come una piovra e che i tuoi disegni sembrino più che altro delle macchie di Rorschach che non ci hanno creduto abbastanza.

Ogni tanto qualche pennino si ottura. In tal caso bisogna smontarlo, pulirlo con acqua, ascoltare la pallina al suo interno e scuoterlo ogni tanto per rianimarlo.


CreatureSH by Pixabay

Come distinguere i vari pennini? A ogni spessore è assegnato un ruolo e un colore: 0.1 rosso, 0.2 giallo, 0.3 grigio, 0.4 marrone, 0.5 rosa, 0.6 celeste, 0.7 non pervenuto, 0.8 “spurio”, 0.9 non pervenuto, 1mm idem, 1.2 arancione, 2mm per la squadratura. Ci terrei a sottolineare che l’intervistato ha recitato a memoria spessori e colori corrispondenti, con alcuni, comprensibili, vuoti di memoria. Se qualcuno si ricordasse i colori mancanti, è il benvenuto.

Adesso che i nostri pennini sono pronti, è bene avere accanto una pezzolina per l’orrenda gocciolina che il pennino rilascia quando iniziamo a tracciare una linea, onde evitare fastidiosi ispessimenti alla testa di questa.

A questo punto dell’intervista, la commozione assale entrambi: l’intervistato, per il ricordo di ciò che fu e chi scrive, al solo pensiero di ciò che avrebbe potuto essere se non fosse subentrata la tecnologia. O forse era un attacco di panico.
Pausa caffè.

Fine prima parte.

Arch. Alessia Malara

Commenti

  1. La pratica del disegno a mano è un arte sempre gradita, anche se oggi si limita a poche "dimostrazioni" grafiche a scopo più estetico che didattico. I giovani architetti non proveranno mai l'emozione di far fluire le idee dalla mente direttamente su carta, ciò nonostante non possono fare a meno di guardare ai progetti dei maestri del passato con ammirazione e stupore. Tramite un mezzo talmente "arcaico" quale un pennino, utilizzato con maestria, si era in grado di regalare la visione nitida di un sogno; cosa che oggi pare sempre più difficile con le grandi semplificazioni dei mezzi informatici. Come se questi avessero introdotto una distanza incolmabile tra l'architetto ed una visione coerente della realtà che lo circonda; tra il mondo dei sogni e quello delle intenzioni.

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    Risposte
    1. Grazie per la bellissima risposta!
      Il disegno a mano, per me, è una connessione diretta con il pensiero, con l'idea. Non bisogna, però, sottovalutare le moderne tecniche di rappresentazione, non tanto il CAD, quanto le rappresentazioni digitali in photo-render, diverse per tecniche e stili e che spaziano da quelle talmente realistiche da sembrare vere a quelle più surreali e fumettistiche e richiedono maestria, tanto allenamento (e anche talento). L'ideale sarebbe la coesistenza di entrambe le cose, perché non si può tornare indietro, ma nemmeno dimenticare il passato.

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